7.Ago | 2017

h 21:30 | 

  • Stazione dell'Arte
    Ulassai

Quasi grazia – lettura scenica

SARDEGNA TEATRO / MARCELLO FOIS

note di regia

Nessuno dei traguardi di parità di cui oggi godiamo sarebbe pensabile senza il coraggio di donne che, pur non facendo esplicitamente attività politica, con le proprie scelte di vita hanno saputo aprire strade di indipendenza per se stesse e per quelle che sarebbero venute.
Quando Grazia Deledda, nemmeno trentenne, nel 1900 lascia la Sardegna per inseguire il desiderio di diventare una scrittrice, forse non immagina di essere una di quelle donne, eppure il suo sogno d’arte e autonomia le chiederà un sacrificio che a nessun uomo sarebbe stato chiesto: lo strappo dalla propria terra e dalla propria famiglia.

Come regista mi interessava il valore politico della sua vicenda privata e per questo le scelte di regia in questo spettacolo, pur partendo dai tre momenti intimi della vita di Deledda raccontati da Marcello Fois, arrivano poi a indagare sia il rapporto tra donne e letteratura che la questione femminile contemporanea. Anche la presenza di Michela Murgia, per la prima volta in scena, è una scelta non casuale in questa direzione; sarda, scrittrice e attivista per i diritti delle donne, era ideale per generare un effetto doppelganger, in cui la sua figura di donna contemporanea e quella della ragazza sarda del ‘900 si richiamassero continuamente come in un controcanto. Insieme a lei e agli altri attori abbiamo affiancato alla drammaturgia di Marcello Fois una scrittura scenica parallela che ci permettesse di indagare i diversi piani del rapporto tra realtà e atto creativo, tra biografia e arte. Per questo in più momenti dello spettacolo vengono evocati in modo visionario anche i personaggi di alcuni racconti di Deledda, tirando in campo tutto il suo immaginario onirico e portando una ventata di magia e di letteratura viva sulla scena.

(Veronica Cruciani)

Michela Murgia

Quando Marcello Fois ha immaginato questo testo su Deledda e mi ha chiesto di interpretarlo, il potenziale rivoluzionario della sua figura mi ha convinta ad accettare senza riserve. È infatti evidente che Deledda per realizzare sé stessa abbia pagato, oltre ai sacrifici personali, anche un altissimo prezzo sociale: enorme su di lei la diffidenza radicale del mondo letterario italiano, capace perfino di ignorarne il Nobel, e un giudizio sulla sua vita privata che ha portato persino i grandi nomi della letteratura italiana a storcere il naso davanti al suo matrimonio paritario e sodale, così simile alle coppie di potere dello star business contemporaneo, ma del tutto insolito nella bigotta Italia degli anni ‘30. La sua storia di determinazione personale è un paradigma non solo per le donne di tutti i tempi, ma per chiunque voglia realizzare un sogno partendo da una condizione di minorizzazione sociale. Per esprimere questa spinta politica la scelta della regia non poteva che ricadere sulla sensibilità civile di Veronica Cruciani, il cui supporto anche pedagogico è stato fondamentale per permettermi di entrare con rispetto in un mondo artistico che non mi appartiene.

Marcello Fois

Decidere di parlare della Deledda è un atto che può avere del temerario. Specialmente per uno scrittore, specialmente per uno scrittore nuorese. L’ipotesi poi di parlarne portandola in scena rasenta la follia se è vero che il teatro è un medium impietoso e rituale. La mia idea, direi la mia ossessione, era che di questa donna, tanto importante per la cultura letteraria del nostro Paese, bisognasse rappresentare la carne. Come se fosse assolutamente necessario non fermarsi a una rievocazione “semplicemente” letteraria, quanto di una rappresentazione vivente. I grandi scrittori, i grandi artisti sopravvivono. Questa Deledda non morta, che agisce, pensa, soffre, commenta, mi pareva una Deledda assai più efficace, sul piano della restituzione di quanto potesse fare qualunque romanzo o racconto. Volevo che la si sentisse parlare. Volevo che la si vedesse muovere. Volevo che si constatasse nei fatti per quali vie uno scrittore, seppure biologicamente morto, possa considerarsi vivente e agente. In un mondo migliore per questo esercizio basterebbe l’educazione alla lettura, l’idea che il traguardo di uno scrittore, e il Nobel è un traguardo notevole, rappresenti un traguardo del lettore, ma, considerando che Grazia Deledda non è nemmeno compresa nel canone ministeriale, pur essendo a tutt’oggi l’unica donna italiana ad avere ricevuto l’ambito premio, è evidente che siamo lontanissimi dall’abitare una civiltà letteraria matura.

Perciò ho deciso che la via migliore per riportare la Deledda al posto che le spetta era quella del rito vivente attraverso il quale da millenni rievochiamo fatti e senso collettivamente. Il teatro è un territorio potente. Un falso/vero attraverso il quale si rappresenta la sostanza senza passare dalla retorica della sostanza. Questa Deledda in carne ed ossa rifiuta il luogo comune di sé stessa

Perciò “Quasi Grazia” è sostanzialmente un romanzo in forma di teatro. Una narrazione agita direttamente dai personaggi: Grazia Deledda, sua madre, suo marito Palmiro Madesani, suo fratello Andrea, Ragnar un giornalista svedese e Stanislao un tecnico radiologico. Ogni capitolo corrisponde a un atto della pièce. Il primo è ambientato a Nuoro, la mattina del febbraio del 1900 in cui Grazia si trasferisce col marito da Nuoro a Roma; col secondo ci spostiamo a Stoccolma, nel dicembre del 1926, il pomeriggio che precede la cerimonia ufficiale di consegna del Nobel; il terzo si svolge a Roma nel 1935, nello studio radiologico il cui verrà diagnosticato alla Deledda il tumore che la ucciderà nell’agosto del 1936. Dieci anni dopo la consegna del più prestigioso dei premi letterari. La vita di ogni grande scrittore racconta qualcosa della grande scrittura.


testo tratto da www.sardegnateatro.it/spettacolo/quasi-grazia

conMichela Murgia
produzioneSardegna Teatro

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