La nostra società non può non fare i conti con la storia e visto che spesso tanti se ne dimenticano, tocca alla “farsa” travestirsi e, tra una risata e l’altra, stimolare riflessioni. Ogni giorno pretendono di farci credere che noi siamo “la civiltà” mentre tutti gli altri, gli arabi in primo luogo, sono i barbari da cui dobbiamo difenderci, allora ecco servite: nuove guerre, frontiere sempre più impermeabili, restrizioni, controlli, detenzione e… Jean Genet con “Les paravents” getta un occhio spogliato da ogni ipocrisia sulla guerra dei francesi in Algeria, una lotta senza esclusione di colpi tra lavoratori arabi e coloni, ma nella morte tutto si ricompone e i nemici si scoprono parte di un’unica unione. Stretti a Genet e alle sue provocazioni, il “canto” prende forma nella traduzione, nell’elaborazione, nel tradimento di un testo che sorprende per la sua contemporaneità.
Un canto per Said, va oltre allo specifico algerino incoraggiando lo spettatore, nel contesto della rappresentazione, ad immaginarsi scenari certamente più vicini a lui. Oggi il problema coloniale ha assunto la forma dell’immigrazione, la bara spesso si confonde con la valigia e l’arabo è diventato argomento delle nostre paure.