5.Ago | 2010

h 19:30 | 

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Chicago Boys

RENATO SARTI / GIULIANA MUSSO

Con questa frase comincia Chicago boys,una specie di conferenza “strampalata, senza lieto fine” che si svolge in un rifugio antiatomico. Una esaltazione surreale del capitalismo, del consumismo e della liberalizzazione più sfrenata. I Chicago boys sono stati un gruppo di economisti formatosi negli anni Settanta presso l’Università di Chicago, sotto l’egida del grande guru del liberismo, Milton Friedman, nobel per l’economia nel 1976. Friedman e i suoi seguaci esercitarono una profonda influenza sulle politiche economiche di molti stati, gli USA del presidente Ronald Reagan e l’Inghilterra del primo ministro Margaret Thatcher e poi dal Cile all’Argentina, dal Brasile alla Polonia, dalla Cina alla Russia, ecc. Le grandi multinazionali hanno avuto un ruolo di primissimo piano in un processo che ha portato allo smantellamento dello stato sociale, visto e combattuto come un virus infettivo, come un arto in cancrena da amputare. “Ma una stampella può camminar da sola?”. No. L’imposizione di questo tipo di economia è sempre stata preceduta e accompagnata da golpe, da spietate dittature, da sanguinose repressioni di piazza, dai desaparecidos, dalla tortura. Chiamare privatizzazioni le grandi razzie compiute nei confronti dei paesi poveri è un eufemismo. Queste politiche economiche hanno significato per una vasta parte delle popolazioni di quei paesi licenziamenti, diminuzione degli stipendi, delle pensioni, degli ammortizzatori e delle garanzie sociali, ma anche aumento dell’alcoolismo, delle tossicodipendenze, dei malati di AIDS, della prostituzione minorile, della miseria, della malavita, degli omicidi e dei suicidi. Che negli ultimi decenni le grandi multinazionali abbiano puntato l’attenzione pure su materie prime, come l’acqua, i cui titoli in borsa crescono mediamente del 30%, non è un dato meramente economico o finanziario: un rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà mondiale rivela che ogni giorno muoiono 4.900 bambini per mancanza di acqua potabile. Il nostro protagonista sguazza (mangia e si disseta) in una vasca, stile catafalco, piena d’acqua imputridita dai suoi stessi rifiuti. Al suo fianco una escort russa, che, dopo venti anni di schiavitù cerca il riscatto. Fra le anguste pareti del rifugio si consuma fra i due una lotta senza esclusione di colpi, una sorta di paradossale, e letale, guerra fredda,formato mignon. “Pubblicizzare le perdite e privatizzare i guadagni”. Il buon capitalista cade sempre in piedi; sa come avvicinare o allontanare lo stato (succhiando finanziamenti o evadendo le tasse) a seconda del momento e degli interessi eppure il ruolo che lo stato può avere nelle economie è tornato prepotentemente in voga proprio negli States! Chicago boys non vuole essere una rievocazione museale del crollo del muro, in occasione del ventennale, bensì un tentativo di rispolverare un po’ del buon vecchio Marx, e rammentare a coloro che per decenni hanno operato al motto di “Libera volpe in libero pollaio”, il proverbio greco: “Se vedi che non ti sazi, fermati!”.

https://www.teatrodellacooperativa.it/produzioni-teatro-della-cooperativa/chicago-boys-2/

lettura diRenato Sarti
con la partecipazione speciale diGiuliana Musso