La storia si svolge in un sottoscala, in uno spazio scenico angusto. I due emigrati, durante la notte dell’ultimo dell’anno, raccontano le loro storie di solitudini e di lotte in un paese straniero. Storia capace di regalare forti emozioni, di far ridere e commuovere allo stesso tempo il pubblico.
In una città straniera, AA un intellettuale disilluso, partito dal suo paese per sfuggire condizionamenti di un regime oppressivo, e XX un proletario partito dallo stesso paese per lavorare e far soldi, convivono in uno squallido sottoscala. Le loro sensibilità sono lontane, i loro modi, i loro linguaggi diversi. È la notte di Capodanno, fuori la città festeggia. Nella solitudine del loro rifugio XX e AA si troveranno a confrontare drammaticamente le loro esistenze.
Il tempo storico vorrei restasse indefinito, la condizione di isolamento che i due vivono può sempre ripetersi, accade anche oggi. Anche la loro provenienza vorrei non fosse definita, l’unica certezza è che nel paese da cui provengono vige un sistema di repressione e di controllo, ma per collocare quel luogo c’è solo l’imbarazzo della scelta ed è meglio che ciascuno lo trovi nella sua personale geografia dell’oppressione. Ho immaginato uno spazio scenico angusto, oppressivo, dove per viverci è necessario ridurre al minimo i gesti e le esperienze che li veicolano, e dove anche le esigenze vitali sono sottoposte alla regola della parsimonia. I due personaggi sembrano legati tra loro da sottili fili che li imprigionano, ad ogni gesto dell’uno corrisponde una reazione dell’altro, come se il rapporto vuoto pieno fosse di continuo messo in pericolo, e si dovesse con cura coatta ripristinare le proporzioni e le distanze. Il ritmo è serrato, teso. L’unico spreco concesso ai due personaggi sono le parole, che in questa notte escono prorompenti, senza più controllo, come fossero state troppo a lungo trattenute ed ora esplodono a dire il malessere coltivato nel tempo.