Il bisogno di trasversalità, di non restare chiusi nel proprio cerchio ristretto. Il desiderio di condivisione del sapere, di mettere in comune: conoscenza, esperienza e capacità.

Il bisogno di un segno forte nel cercare di gestire il presente, operando per il futuro, nella convinzione dell’immortalità del genere umano, nella certezza che i sacrifici di ieri e di oggi siano il necessario corollario per il domani. Il superamento del termine egoistico uomo con il concetto più esteso d’umanità… dell’io col noi. Dove il noi sia rappresentazione del passato ma anche del divenire. Una politica per il domani che si contrapponga con audacia e coraggio alla possibile catastrofe che si profila all’orizzonte. Quando il fiume si gonfia occorre rafforzare gli argini, prima che l’inondazione distrugga ogni cosa, o per paradosso spianarli del tutto in modo che l’acqua possa dilagare senza recare troppo danno. Capita, che sapendo arrendersi si vince o almeno non si perde del tutto. Riconoscere il pericolo per evitarlo. A volte è più fruttuoso mollare gli ormeggi e rischiare d’andare alla deriva piuttosto che la stupida virile contrapposizione all’uragano. Applicare intelligenza, per riconoscere e poi affrontare situazioni in continua mutazione. Per questo occorre una politica che si converta al sapere antico del contadino. Del seme piantato, non solo per l’immediato ma nella certezza che, anche se si deve lasciare la terra prima del previsto, ci sarà sempre qualcuno che potrà goderne il frutto. Allora, anche il lavoro più duro diventa meno faticoso e ogni cosa prende la sua giusta forma e anche il “fare” si distende nel tempo e nello spazio dell’intimità dell’animo, aprendosi a panorami inimmaginabili. Questa è la premessa per un progetto: “Festival di Teatro”, giunto al suo ottavo anno che si distende, nel tempo e nello spazio che lavora nell’intimità dell’animo e si apre ai panorami dei suoi ambienti. Jerzu, Ulassai, Osini, Perdasdefogu non sono solo quattro paesi lungo una strada, ma anche il segno di una resistenza caparbia all’omologazione. La ricerca di coraggiosa di una propria specificità. L’Ogliastra dei “tacchi” come laboratorio d’arte e cultura, in dialettica tra avanguardia e tradizione, ambiente e comunità. Un grande cantiere artistico dove si possa creare prendendo ispirazione da tutto ciò che vi danza attorno. Il “locale” che si confronta con il “globale” preservando la sua forte caratterista particolare. Non il semplice subire: discorsi, leggi, modalità centrifugate di altri in altri contesti ma la forza e l’esigenza di essere voce ascoltata nel concerto artistico mondiale.